Bibliografia / La critica / Gli accademici

Claudio Varese

L’ampio saggio di Claudio Varese (1909-2002) del 1951 segna l’inizio di una nuova e fortunata interpretazione dell’opera panziniana. Infatti, parallela alla denigrazione assoluta della scuola critica marxista, si svilupperà la rilettura, sociologica prima ancora che letteraria, del suo lavoro come “documento della cultura e del costume” della società italiana del primo Novecento.

Renato Serra

Nonostante la brevità della sua vita, il cesenate Renato Serra (1884-1915) è un gigante della critica italiana, lo studioso che meglio ha testimoniato, e vissuto, la crisi del letterato e dell’ideale umanistico nell’epoca della modernità trionfante.
Curiosamente, considerata la vicinanza tra Bellaria e Cesena, trascorrono ben tre anni di contatti epistolari prima che Panzini e Serra finalmente si incontrino nel 1912.

Luigi Russo

Luigi Russo (1892-1961), in occasione del decennale della morte di Panzini, tiene al teatro comunale di Rimini un discorso che rappresenta l’ultima solenne celebrazione di Panzini, e, forse, il definitivo tramonto di un modo di intendere la letteratura.
Nell’apologia panziniana del Russo, è evidente l’amarezza del critico per la prepotente affermazione della figura del letterato politico e militante, che mette l’arte a disposizione della sua “fede rivoluzionaria”.

Giuseppe Prezzolini

Nel primo dopoguerra, come si è visto, Panzini non solo entra stabilmente nell’élite intellettuale del tempo, ma diviene intimo di parecchi personaggi illustri della nostra cultura.
Proprio per questo, uno dei più prestigiosi, Giuseppe Prezzolini (1882-1982), gli dedica un paragrafo del suo volume Amici, dove si afferma che la popolarità di Panzini è salita al punto da farlo diventare un marchio, un’icona, “il Panzini”.

Giovanni Papini

Giovanni Papini (1881-1956) dedica ad Alfredo Panzini uno dei suoi Ritratti italiani. Nel leggere la dichiarazione d’intenti del Papini si comprende che, nel 1915, Panzini, “ornamento di casa Treves”, lo ha superato per fama e prestigio! Importante segnalare in questa sede la polemica antidannunziana di Papini, che lamenta l’abissale differenza di pubblico tra i due scrittori, quando la ”miglior parte”, a suo avviso, sarebbe proprio Panzini.

Carlo Muscetta

Carlo Muscetta (1912-2004) riprende direttamente il discorso e i toni di Antonio Gramsci. L’astio del Muscetta, che raggiunge punte di vero e proprio livore, si deve al fatto che, nel dibattito critico del secondo dopoguerra, il significato dell’esperienza panziniana comincia a travalicare il semplice valore artistico, per diventare un simbolo dell’universo morale e intellettuale dell’Italia reazionaria e piccolo-borghese, dalle cui aspirazioni e, soprattutto, paure, ebbe origine il fascismo. Un disprezzo oseremmo dire quasi antropologico.

Curzio Malaparte

Nel celebre Italia barbara di Curzio Malaparte (1898 – 1957), c’è spazio, una decina di pagine circa, anche per Alfredo Panzini. Non poteva essere altrimenti essendo la sua opera “quasi la maschera della crisi o trasformazione (o commedia) dello spirito nazionale” alle prese con gli sconvolgimenti sociali ed economici del Novecento.

Antonio Gramsci

La sprezzante stroncatura di Antonio Gramsci (1891 – 1937), considerata la lunga egemonia della cultura marxista in Italia, è il punto di rottura della fortuna panziniana, il suo vero e proprio nadir. Le note sparse, raccolte nei mitici quaderni, in cui Gramsci parla di Panzini si diffondono sul finire degli anni Quaranta.

Piero Gobetti

Gli interventi di Piero Gobetti (1901-1926) su Panzini sebbene occasionali e sporadici, sono molto interessanti, perché travalicano la semplice valutazione artistica.
Gobetti, infatti, mentre si mostra scettico riguardo la prolificità di Panzini, coglie l’opportunità per inveire pesantemente contro l’editore Treves, colpevole di anteporre il profitto alla qualità e al rigore filologico delle pubblicazioni.

Benedetto Croce

Quanto Panzini temesse l’autorità morale ed intellettuale del “tremendissimo senatore”, Benedetto Croce (1866-1952), lo si comprende già dalla seconda lettera, spedita nell’ottobre del 1910, del carteggio con Renato Serra, dove apostrofa il filosofo napoletano come “terrore dei vivi e dei morti”.
Gli episodi degli anni successivi dimostreranno che questo timore fosse ben fondato.

Pagine