santippe_letture

Santippe

Santippe, bisbetica o vittima?

Un prezioso articolo scritto dal prof. Giovanni Reale, storico della filosofia (a lungo ordinario di Storia della Filosofia Antica all’Università Cattolica di Milano, dove ha anche fondato il «Centro di Ricerche di Metafisica», e dal 2005 docente alla nuova facoltà di Filosofia del San Raffaele di Milano), incentrato sulla figura della moglie di Socrate (in controluce si parla anche della moglie di Panzini?) e pubblicato sul “Sole 24 Ore” del 15 luglio 2001.

“Santippe è stata considerata non solo nell’antichità, ma anche nelle epoche successive, come un esempio paradigmatico della donna non solo fastidiosa, ma addirittura insopportabile.
Tuttavia va subito detto che noi la conosciamo non per se stessa, ma solo come moglie di Socrate, dell’eroe dell’ironia dialettica e della maieutica. Si pone allora il problema: è corretto che ci limitiamo a intenderla solo come una controfigura drammaturgica del filosofo per eccellenza, come ci è stata tramandata dalla tradizione? Molto interesse ha suscitato, soprattutto nel pubblico femminile, questo problema che ho sollevato nel mio ultimo libro Socrate (Rizzoli 2000, ora riproposto nella Bur), e per questo intendo qui riproporlo a un più vasto pubblico.
Per rispondere alla domanda posta, dobbiamo renderci prima conto del come e perché la figura di Santippe è stata costruita così come ci è pervenuta. E in primo luogo dobbiamo affrontare la questione circa le presunte due mogli che Socrate avrebbe avuto.
Tutti gli autori che ci tramandano questa notizia dipendono direttamente o indirettamente da un’opera perduta attribuita ad Aristotele, Sulla nobiltà. Ma la tesi non è credibile. Infatti, l’opera di Aristotele non solo non ci è giunta, ma qualcuno già nell’antichità ha sollevato dubbi sulla sua autenticità. In effetti, contraddice quanto sappiamo dai contemporanei, e in particolare da Platone e da Senofonte. Per di più, la notizia stessa ha subìto tutte le possibili variazioni, che conviene ricordare: a) Socrate ha sposato prima Mirto e poi Santippe; b) ha sposato prima Santippe e poi Mirto; c) ha avuto a un tempo Santippe e Mirto come mogli; d) ha avuto Santippe come moglie e Mirto come concubina; e) ha avuto Mirto come moglie e Santippe come concubina.
Di queste tesi l’unica che potrebbe venir presa in considerazione sarebbe la prima, ossia che Socrate avesse, da giovane, sposato Mirto e, dopo la morte di questa, Santippe. Ma anche questa tesi è contraddetta dal fatto che nel 423 a.C. Aristotele non presenta affatto Socrate come sposato. Va poi rilevato che Socrate nel 423 a.C. non poteva in ogni caso avere figli, in quanto, alla sua morte, ossia nel 399 a.C. (quando aveva ormai settant’anni), il più vecchio dei suoi figli era un ragazzo (aveva meno di vent’anni), mentre gli altri due erano bambini (l’ultimo doveva essere nato da non molto, in quanto veniva portato ancora in braccio). Da questo si può ricavare con certezza che Socrate si era sposato solo in tarda età, e precisamente quando era nei suoi anni cinquanta (fra i 50 e i 55 anni).
Se avesse avuto due mogli, i comici avrebbero certamente tratto debiti spunti, particolarmente idonei a muovere le risa; e se anche per ipotesi fosse stato considerato legale avere due mogli, i poeti comici non avrebbero certamente mancato di presentarle in rissa fra loro e lui in rissa con le mogli, cosa che, certamente, avrebbe fatto sbellicare dalle risa gli spettatori. Dunque, la tesi della bigamia di Socrate è una leggenda che è stata creata per ragioni polemiche e a scopo di diffamazione (probabilmente a partire da Aristosseno), e che si è diffusa soprattutto nella tarda antichità.
Leggiamo, come esempio particolarmente significativo di avversione a Socrate (con le connesse notizie confuse), alcuni frammenti pervenutici della Storia della filosofia di Porfirio. Egli giudicava Socrate “non privo di doti naturali, ma ignorante in tutto”; affermava che non sapeva scrivere e che faticava a leggere, e affermava: “In ciò che riguarda la vita, Socrate è stato per il resto di facile contentatura e bisognoso di pochi mezzi per le necessità quotidiane, ma era troppo ardente nella fruizione dei piaceri sessuali, senza tuttavia che ci fosse ingiustizia: infatti, frequentava soltanto o le donne da lui sposate o quelle pubbliche. Ebbe perciò al tempo stesso due mogli, Santippe, una cittadina e piuttosto ordinaria, e Mirto, figlia di Lisimaco e nipote di Aristide. E prese Santippe che coabitava con lui, dalla quale gli nacque Lamprocle; Mirto, invece, con matrimonio legittimo, dalla quale ebbe Sofronisco e Menesseno. Esse (Santippe e Mirto), attaccando battaglia l’una contro l’altra, quando cessavano, si scagliavano contro Socrate perché egli non le tratteneva mai mentre battagliavano e rideva vedendole litigare sia tra loro che con lui”.
Ma tutto questo viene smentito dai contemporanei di Socrate stesso, con alla testa Platone e Senofonte, che parlano della sola Santippe come sua moglie.
Platone ci informa dettagliatamente sull’età dei figli di Socrate al momento della sua morte; invece su Santippe ci fornisce solo indicazioni piuttosto generiche, vagamente allusive al suo particolare carattere, che doveva averla resa ben nota. Invece Senofonte ci fornisce notizie più precise. In particolare nei Memorabili ci narra di un colloquio di Socrate con il figlio maggiore, Lamprocle, il quale si lamentava proprio del carattere insopportabile della madre Santippe, giungendo addirittura ad affermare: “Nessuno potrebbe sopportare l’asprezza del suo carattere”; e ancora: “Dice certe cose che non si vorrebbero ascoltare per niente al mondo!”.
Sempre Senofonte nel Simposio ci fornisce un giudizio su Santippe dato dal filosofo Antistene: “Perché, Socrate… non istruisci Santippe, ma te ne stai con una donna la più fastidiosa, credo, di quelle che sono, furono e saranno? “.
Un giudizio del genere in bocca a un personaggio come Antistene può ben spiegarsi nel suo estremismo, a motivo dell’atteggiamento misogino che gli era proprio. In effetti, tale atteggiamento antifemminista sarà, poi, tipico dei Cinici. Ma, per quanto possa venire attenuato e ridimensionato, il giudizio risulta corrispondere, nella sostanza, a quello espresso dal figlio Lamprocle, e dunque contiene qualcosa di vero, almeno in certa misura.
Da queste notizie ha preso le mosse la successiva tradizione, che ha via via ribadito il giudizio di Antistene, creando vari esempi, per illustrarlo e convalidarlo in modo concreto con colorite immagini.
Diogene Laerzio raccoglie la serie più significativa delle scenette fra Socrate e Santippe, diventate proverbiali, di cui ricorderemo due particolari. Ecco la più nota: “Una volta Santippe prima l’ingiuriò, poi gli versò addosso l’acqua”; egli commentò: “Non dicevo che il tuono di Santippe sarebbe finito in pioggia?”. Ed ecco la seconda: “Una volta in pieno mercato Santippe gli strappò il mantello: i suoi amici lo incitavano a menare le mani per punirla. Sì, per Zeus — disse — perché, mentre noi facciamo pugilato, ciascuno di voi faccia il tifo: “Forza Socrate!” “Brava Santippe!””.
Da tempo gli studiosi hanno individuato nelle accentuazioni del carattere di Santippe, che si riscontrarono nelle varie fonti, le seguenti importanti componenti: a) in primo luogo, ha giocato un certo ruolo l’avversione cinica alle donne; b) in secondo luogo, la funzione svolta da Santippe in certe scenette divenute proverbiali risulta essere prevalentemente quella di una controfigura drammaturgica mediante la quale vengono evidenziate alcune caratteristiche di Socrate; c) in certi casi Santippe svolge la sola funzione di provocare un giudizio o un motto di particolare efficacia da parte di Socrate; d) in quarto luogo, gli Stoici hanno fatto uso del rapporto fra Socrate e Santippe al fine di illustrare in modo efficace con esempi pratici il comportamento che deve assumere il saggio nei confronti di persone abiette.
Ecco la più eloquente testimonianza: essendo stato chiesto a Socrate quali sono gli uomini che si pentono, rispose: “Coloro che si sposano”.
Ed ecco come in età moderna Nietzsche ha ripreso questo giudizio nella Genealogia della morale, dove dice che il filosofo non deve in alcun modo sposarsi e che Socrate ha sposato Santippe proprio per dimostrare, con ironia, ciò che il filosofo non deve fare: “Ogni animale, e quindi anche la bête philosophe, tende istintivamente a un optimum di condizioni favorevoli, date le quali può scatenare completamente la sua forza attingendo il suo maximum nel sentimento di potenza. Altrettanto istintivamente, e con una finezza di fiuto che è “superiore a ogni ragione”, qualsiasi animale ha in orrore ogni sorta di guastafeste e di impedimenti che gli intralcino o gli possano intralciare questo cammino verso l’optimum…. Allo stesso modo il filosofo ha in orrore il matrimonio, unitamente a tutto quanto potrebbe persuaderlo a esso — il matrimonio come ostacolo e calamità sul suo cammino verso l’optimum. Quale grande filosofo è stato fino a oggi sposato? Eraclito, Platone, Cartesio, Spinosa, Leibniz, Kant e Schopenhauer non lo furono, e più ancora: non li possiamo neppure pensare sposati. Un filosofo sposato appartiene alla commedia, questa è la mia tesi: e quell’eccezione di Socrate — il malizioso Socrate sembra che si sia sposato ironice, proprio per dimostrare questa tesi”.
Solo Alfredo Panzini, per quanto mi risulta, ha tentato nel suo romanzo intitolato appunto Santippe, del 1941 (purtroppo oggi dimenticato), di interpretare la figura e la vita di quella donna, sia pure in forma fantastico-poetica. Finge di aver scoperto questa figura di donna come rivelata dalle tracce di una prima scrittura dietro una seconda scrittura in un codice antico (in un palinsesto) che parlava di Socrate. E dice che si trattava proprio di quella figura che mancava nel numero cospicuo di straordinari modelli di donna ideati dai Greci — da Elena ad Aspasia, a Penelope, a Clitennestra e ad Antigone —: “Mi pareva ben possibile che i Greci avessero tralasciato di consegnare all’umanità uno dei modelli più comuni, come quello che anche oggi va sotto la denominazione di Santippe, quello della mala femmina rossa di pelo, la tormentatrice dell’eroe”. Ma Panzini subito precisa: “Ah, si! Noi abbiamo fatto una grande scoperta viaggiando per la necropoli dei morti ellenici. Noi abbiamo scoperto la infelice Santippe”.
Quella di Panzini è davvero una scoperta, proprio come lui dice, che ciascuno di noi dovrebbe cercare di prendere in seria considerazione: come poteva vivere una donna come moglie di quell’eroe che incarnava l’ironia ambigua e ambivalente, che sottoponeva tutti quanti alla prova mediante la dialettica confutatoria al fine di ricercare il vero, che viveva tutto il giorno e più giorni di seguito fuori di casa pensando agli altri, e che, per giunta, nei confronti di qualsiasi evento — dai più piccoli ai più grandi, dalle ingiurie della moglie alla morte — rimaneva del tutto imperturbabile?
Panzini ha ragione anche nelle conclusioni che trae, ossia che quella Santippe, pur con le sue strida, amava quel marito (così come quel marito amava quella moglie). E con la sua fantasia poetica ce lo dice nel modo che segue. Santippe, dopo la morte del marito, si recò a Delfi per consultare il dio Apollo, dal cui responso mediante l’oracolo era iniziata la missione di Socrate. Ma il dio non c’era più, e trovò solo un enorme macigno con la scritta “Conosci te stesso”, che Socrate portò tutta la vita sulle sue spalle e ne fu schiacciato. E dopo Socrate — scrive Panzini — verrà Cristo e rimarrà schiacciato, e altri verranno nei secoli, attratti dal fascino del divino enigma che era scolpito sul quel macigno…. E rimarranno schiacciati!.
Ecco come termina la storia. Mentre una sera Santippe sta preparando una misera cena, muovendo uno staccio sul tagliere, ammonisce i tre figli di guardarsi bene dal fare ciò che aveva fatto il loro padre. Guai a voi — dice — se vi mettete in mente di occuparvi della “virtù”, della “sapienza”, dell’”autodominio”, del “che cos’è delle cose”. Perché fate questo — precisa — “vi sbatto questo setaccio su la testa e ve ne faccio una berretta”. Ed ecco il bel tocco poetico conclusivo di Panzini: “E la notte è venuta. / Ma di chi è il suono dei vecchi sandali? Di chi è quella voce armoniosa ed ironica? / Chi è? / E Santippe balza sul giaciglio: un soffio come di un bacio si posa sui rossi capelli, biancheggianti ormai, un ardore come di lacrime cadenti, e una voce risponde e mormora: — È Socrate, tuo marito…”.

claudioSantippe