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Marino Moretti
Marino Moretti nasce a Cesenatico l'8 luglio 1885, nella casa dei nonni paterni, nell'angolo tra canale e ponte sulla contrada d'accesso al paese e muore nella stessa cittadina romagnola il 6 luglio 1979. La passione per la letteratura lo portò ad interrompere la frequenza della Scuola di recitazione a Firenze (diretta da Luigi Rasi) dove conobbe Aldo Palazzeschi. Le prime raccolte di novelle e poesie risalgono al 1902 e al 1903. All’attività narrativa unisce la collaborazione con diversi giornali e riviste, compreso Il Corriere della Sera. Nel 1952 e nel ’55 ottenne tre riconoscimenti importanti: il “Premio dell'Accademia dei Lincei” per la Letteratura, il “Premio Napoli” e il “Premio Viareggio” col primo volume delle sue opere, Tutte le novelle, pubblicate ne «I Classici Contemporanei Italiani» di Mondadori.
Sergio Zavoli: "Lei era legato da amicizia a Panzini?
Marino Moretti: Sì. Un'amicizia molto forte! Guardi, io non dovevo nutrirla per nessun altro uomo di penna, tolti i due o tre scrittori della mia stessa età, oggi molto noti, che furono addirittura miei compagni di infanzia. Notevole fu la differenza di età fra noi due: 22 anni! Il "tu" fraterno che ci demmo quasi subito li aveva aboliti.
S.Z.: Come nacque questa amicizia?
M.M.: Molto semplicemente. Bisogna risalire a prima dell'altra guerra, quando ero ancora molto giovane. Fu Renato Serra a parlare al Panzini di me, autore, allora, quasi soltanto delle "Poesie scritte sol lapis", di cui il raffinatissimo critico, che non dovevo mai incontrare, si era occupato da poco. Fu Panzini stesso che venne a trovarmi per primo e a portarmi i saluti di Serra.
S.Z.: Da quali comuni interessi, da quali sentimenti era alimentata?
M.M.: Gli interessi comuni a tutti gli scrittori che credono avere qualcosa da dire di veramente proprio. Cioè che non potrebbe essere pensato da altri con gli stessi moti dell'anima, se non per naturali somiglianze di sentimento umano e poetico. Talvolta, come nel nostro caso, due temperamenti affini non sono portati a percorrere la stessa strada! Panzini era troppo fine psicologo per non sapere che è spesso l'indipendenza a salvaguardare l'amicizia di due che fanno lo stesso mestiere, specie quando l'uno è un grande scrittore e l'altro è soltanto colui che vorrebbe esserlo!
S.Z.: Panzini più d'una volta le mostrò le cartelle dei suoi libri prima che andassero alle stampe!
M.M.: Ho conosciuto scrittori di due generazioni e non ne ho trovato uno solo che potesse venir accostato a Panzini per semplicità e modestia di vita. Molti erano e sono gli scrittori sicuri di sé, e giustamente paghi dell'opera loro. Panzini non lo era affatto. Spesso egli veniva da Bellaria a leggermi l'ultimo elzeviro prima di mandarlo al giornale. Quasi sempre desiderava discutere con me il titolo di un libro prima di mandarlo all'editore. Se io mi permettevo di suggerirgli una variante, non era raro il caso che egli accettasse, direi a precipizio, e correggesse sotto i miei occhi. Non lo dico per menare vanto; so bene che in quel momento egli non vedeva affatto il collega artista, ma semplicemente il comune lettore per cui aveva un sincero rispetto.
S.Z.: Da che cosa era suggerito, secondo lei, questo atto di confidenza?
M.M.: Difficile dire da che cosa fosse suggerito questo atto di confidenza! Forse, Panzini non si sentiva a suo agio nella società letteraria e capiva, nello stesso tempo, che io non mi ci muovevo meglio di lui. Questa era certo un'affinità che lo spingeva alla fiducia quasi assoluta. Gli piaceva, insomma, arrivare in bicicletta da Bellaria, fermarsi davanti alla mia porta, chiamar dalla strada "Marino!" e vedere subito comparire Marino alla finestra!
S.Z.: Potrebbe disegnarmi un breve ritratto del Panzini intimo, familiare; del Panzini provinciale e borghese; del Panzini più domestico, insomma, e più facile alla semplice comprensione?
M.M.: Caro amico, qui mi pare che lei chieda troppo. D'altra parte un ritratto di lui è, più che nelle mie risposte, nelle sue stesse domande; provocate, si direbbe, dall'idea di un ritratto ideale che è, come sempre, più vero del vero!
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