Clelia Gabrielli
Sergio Zavoli: "Lo scelse Panzini il colore di questa casa?
Clelia Gabrielli: Sì! Sì e no… un po' con il mio consiglio.
S.Z.: E la posizione chi la scelse?
C.G.: Ah lui, la scelse lui!
S.Z.: Perché, poi, la chiamarono la "casa cantoniera"? Chi fu il primo a chiamarla così?
C.G.: Fu Antonio Baldini, al quale, a proposito della "casa cantoniera"… scrissi una letteraccia, come dice mio figlio" Vero, Piero?
S.Z.: Signora Clelia, nessuno meglio di lei può toglierci un dubbio: il sarcasmo, l'ironia che sempre accompagnarono Panzini, da che cosa traevano origine?
C.G.: Dalla vita un po' infelice che ebbe nell'infanzia e nell'adolescenza, tanto più dolorosa per il fatto che lui stette in collegio otto anni, pregando la famiglia, scongiurandola di toglierlo perché lui non poteva vivere in collegio, in quella vita chiusa, sottomessa! Lui, così indipendente…!
S.Z.: Che cosa voleva realizzare nella sua vita?
C.G.: Una vita tranquilla. Lui è stato un padre affettuosissimo. Se vedesse quello che scrive dei suoi bambini! Illustrava persino le lettere quando dovevano mettere i denti. Disegnava le lettere col bambino che aveva messo il dentino nuovo. "Adesso deve spuntarne un altro, a sinistra", e via…!
S.Z.: Quali furono, signora Clelia, i suoi veri amici?
C.G.: Ah…, l'unico fu Marino. Per Marino Moretti aveva un gran debole, sì!
S.Z.: Forse anche per Baldini nutrì vera amicizia?!
C.G.: Sì, anche per Baldini, anche per Baldini! Ma Moretti, così buono, così mite! Cioè, sembrava, perché Marino dice: "Sembra, ma non sono mite niente affatto!"
S.Z.: Signora Clelia, morì sereno Panzini?
C.G.: No, non si può dire… Lui non ha avuto soddisfazione alcuna. Quando ha lasciato la scuola, il Ministero non s'è neppure ricordato di mandargli, non so… la medaglia d'oro! La danno anche alle maestrine.
S.Z.: E gli ritirarono, con suo grande dolore, il libretto per le ferrovie, è vero?
C.G.: Ah, quando era accademico, allora aveva i viaggi gratis. S'immagini, quella è stata una delle poche gioie: poter viaggiare! Soprattutto senza spendere…!
S.Z.: Perché ride, signora?
C.G.: Perché forse lo prenderete in malaparte! E' vero, ha la fama dell'avarizia. Avarizia!? Quando una famiglia va in rovina si tiene stretto quello che ha, più di altri che non hanno avuto scosse!
S.Z.: Sicché lei crede che Panzini ricordasse le sue esperienze famigliari?
C.G.: E' per questo che teneva stretto il denaro! Guai se si sciupava denaro in cose inutili. Oh, in questo era tremendo. Ma faceva bene, eh!
S.Z.: Mi vuole dire qualcosa, signora Clelia, degli ultimi giorni di Panzini?
C.G.: … siamo rimasti tutti un po' intontiti, pur sapendo che era una cosa inguaribile, … acqua alla pleura, acqua infetta alla pleura; una cosa complicatissima. I dottori avevano detto: è inguaribile, non c'è rimedio.
S.Z.: E lui lo sapeva?
C.G.: Lui no, no. Lo sapevamo io e mia figlia suora; sa che ho una figlia suora? E abbiamo detto: "facciamo finta di niente, non sappiamo niente".
S.Z.: Si accorse tuttavia di morire?
C.G.: No. Disse soltanto ad un prete che voleva somministrargli i Sacramenti…: "Iddio mi ha… mi ha…"
S.Z.: Iddio mi ha abbandonato?
C.G.: Iddio mi ha abbandonato!
S.Z.: E il luogo della sepoltura, a Canonica, fu suo padre a sceglierlo?
Piero Panzini: Si, fu mio padre a sceglierlo. Il cimitero della Canonica è vicino ad un podere, anzi a due poderi che mio padre aveva lì. E allora, andandoli a visitare spesso, aveva adocchiato questo "luoghicciolo", come lo chiamava lui. E disse al prete: "E' un posticino dove ci si sta bene da vivi; ci si starà bene anche da morti!" E allora scelse. Scrisse questa sua volontà in una lettera che fu trovata da noi familiari dopo la morte. E così fu seppellito lì!
 
(Tratto da: Sergio Zavoli, Campana, Oriani, Panzini, Serra. Testimonianze raccolte in Romagna, Cappelli editore, 1959).