Manara Valgimigli

Manara Valgimigli nacque a San Piero in Bagno (oggi provincia di Forlì-Cesena, allora provincia di Firenze) nel 1876. Anche lui, come Panzini, allievo di Giosuè Carducci all'università di Bologna, dopo la laurea insegnò in vari licei italiani. Nel 1922 vinse il concorso per la cattedra di letteratura greca all'università di Messina e in seguito insegnò all'università di Pisa e, fino al 1948, in quella di Padova. Morì a Vilminore di Scalve (provincia di Bergamo) nel 1956.
Ha tradotto Sofocle, Eschilo, Saffo, Platone e Aristotele, ha scritto saggi, poesie e libri autobiografici. Iscritto al Partito socialista italiano, fu amico di Pietro Nenni e di Sandro Pertini.
 
Manara Valgimigli: "Come lo ricordo Panzini? Eh, lo ricordo in gesti curiosissimi che lui aveva, specialmente a Bellaria, d'estate, quando vi andava con un certo cappello alla Raffaello, un grosso berretto alla Raffaello che gli spioveva per tutto il volto. Ma quando incontrava una signora era buffissimo perché si levava il cappello con impeto e poi batteva i tacchi come un capitano dell'esercito!
Sergio Zavoli: In quale occasione conobbe Panzini?
M.V.: Io l'ho conosciuto la prima volta, se non sbaglio, a Messina, nel '22 o '23. Era venuto a Messina per un'ispezione, credo, a qualche scuola media. E mi ricordo che il Panzini allora stava correggendo bozze della prefazione ad una sua raccolta dell' "Orlando innamorato" del Bojardo. Questo dell' "Orlando innamorato" del Bojardo è stata sempre una curiosissima passione amorosa del Panzini, della quale un giorno riparlerò.
S.Z.: Ebbe familiarità con lui? Lo vide per lungo tempo, o no?
M.V.: Una certa dimestichezza si realizzò in una occasione fortunatissima, quando cioè Pancrazi aveva a Bellaria un fratello in villeggiatura ed io andai a trovarlo. Stetti lì una buona settimana, nella quale è naturale che ci vedessimo spessissimo con Panzini. Ci si incontrava anche con Marino Moretti che andavamo a trovare a Cesenatico. E c'era anche Antonio Baldini, a Viserba. Ecco, quelli furono i giorni, diciamo così, in cui io vissi più lungamente con lui, ebbi più consuetudine con lui. E si giocò anche a scopone!
Ora io, di Panzini, ho raccolto qualche anno fa alcuni scritti non del tutto inediti, ma come se fossero inediti perché in realtà erano pubblicati in giornali che poi nessuno leggeva. Ricordo che tra questi scritti inediti, e mi compiaccio molto di averla scovata io, trovai una delle più belle pagine non solamente di Panzini, ma credo della letteratura italiana di questi ultimi tempi: una pagina confinata in un giornale di Cesena, una cronaca, una pura e semplice cronaca locale di Cesena in cui Panzini racconta come dal fronte, dal vecchio fronte dell'altra guerra, fu ritrovato il cadavere di Serra e fu riportato a Cesena. Panzini racconta come aspettavano questo camion che doveva venire e non arrivava, ed eran tutti lì, in attesa che questo camion arrivasse. Poi, finalmente, Panzini scrive questa frase che mi pare veramente grande: "… si vede arrivare il camion, impolverato delle strade d'Italia!"
 
(Tratto da: Sergio Zavoli, Campana, Oriani, Panzini, Serra. Testimonianze raccolte in Romagna, Cappelli editore, 1959).
 
Manara Valgimigli  intervistato da Ferdinando Camon (Il Gazzettino Letterario, 24 Dicembre 1963):
 
Che cosa ha appreso Panzini dalla scuola carducciana? I critici, in generale, rispondono che ha imparato una lezione di stile.
“Più che una lezione di stile, che è parola vaga, io direi che ha ricavato il senso della responsabilità dello scrivere: non si scrive alla carlona, non bisogna buttar giù, come fanno molti: Panzini ebbe alto il senso del decoro della parola”.
 
Quindi, Panzini, a sua volta, ha dato una lezione ai contemporanei?
Una grande lezione: Panzini è uno dei nostri migliori stilisti, rigoroso e sorvegliatissimo: pensa se non ha dato una lezione al suo tempo, che era poi il tempo del dilagante dannunzianesimo.
Quand'era a Ravenna, Lei si recava spesso alla casa Panzini?
Sì: la casa col treno, la chiamavano, o anche il casello, per certa somiglianza coi caselli ferroviari. Ma Panzini era morto presto, nel '39. Io l'avevo visto poche volte. Piuttosto ho avuto lunga amicizia con la signora Clelia, sua moglie. Pittrice. La quale era estrosa, sventata, elegante, multicolore nei vestiti e perfino nelle scarpe, mentre il marito era piuttosto preciso, attento, diligente e parsimonioso nelle spese.
 
Dov'è, secondo lei, il meglio del Panzini? Nei libri di viaggi?
Panzini non ha grandi scadimenti: le opere della maturità sono tutte buone. Bellissimi, certo, i libri di viaggi.
 
Possono ricordare quelli di Sterne o di Heine?
Ma no: è stato detto anche questo, lo so, ma per me Panzini è inconfondibile.
 
Un autore, insomma, di cui si fa bene a ricordare il centenario?
Benissimo, non bene. Panzini ha lasciato nelle nostre lettere una traccia originalissima. Il Gazzettino gli dedica una terza pagina? Sarà quasi un invito a Panzini, come quello che fece Pancrazi anni fa. Guarda se lo trovi, leggimelo", e così dicendo si rivolge a una sua fedele assistente, Maria Vittoria Ghezzo. La quale si dirige a colpo sicuro nella ricca biblioteca del professore, estrae il libro e incomincia a leggere. Valgimigli, a ogni frase, fa cenno di sì, di sì col capo ed ogni tanto esclama: "Che bravo questo Piero!".